Miseria - Una storia Arbëreshe

Tutte le strade portano a Piana degli Albanesi, Hora e Arbëreshëvet. Hora – un paesino di strette viuzze, di sogni rurali e nevrosi divine - si trasforma, così, in un luogo chiuso e allo stesso tempo universale. Al centro di questo universo ruota la storia di Salvatore e Giuseppina. Lui è stato testimone diretto - “dopo aver percorso l’Italia da capo a coda” - di uno dei grandi eventi del mondo: la Prima Guerra Mondiale. Giuseppina, invece, svolge il ruolo tradizionale di una donna che vive in una società patriarcale dove nessuno non può e non vuole vivere fuori dalla famiglia e dalla chiesa. Si sposano senza innamorarsi e fanno quello è giu- sto fare: una famiglia. L’ordine normale delle cose sembra governare la loro vita anche se il loro mondo interiore ed este- riore comincia ad agitarsi in maniera sconvolgente. Intanto, ricomincia la violenza di un’altra guerra mondiale che vede l’Italia protagonista. Durante il secondo dopoguerra in Sicilia i comunisti sono molto vicini a prendere il potere. Per questo si innesca il banditismo di Salvatore Giuliano. Tutti gli eventi importanti coinvolgono direttamente gli arbëreshë di Piana i quali hanno una relazione molto importante con la storia. Infatti, sono in Sicilia dal 1488 dopo la fuga dai Balcani per sfuggire alle armate vincenti degli Ottomani. I loro avi erano diventati famosi in tutta l’Europa cristiana per la resistenza eroica contro i musulmani. Poi, sconfitti, avevano varcato il mare ed erano finiti lì, in quel posto in cui gli inverni sono rigi- di. Con il tempo anche la storia si era scordata di loro, perché la storia dimentica sempre gli sconfitti e si occupa solo dei vincito- ri. E loro, esistendo tra il ricordo della gloria passata e l’imba- razzo della sconfitta, erano diventati rigidi come gli inverni di quel luogo. Ma sotto quella rigidità dei costumi, delle credenze e dei rituali, si agitano i desideri e le passioni umane, le loro paure, le loro nevrosi, i loro sogni e le loro illusioni. La grande storia di solito lascia fuori le emozioni. Ma per lo scrittore rappresentano la materia prima. E per questo lo scritto- re, inevitabilmente, si interessa alle emozioni, soprattutto se obliate dalla storia. Cioè a quelle cha hanno scritto, scrivono e scriveranno sempre la vera storia umana, di ogni luogo e di ogni tempo. Mario Calivà, con la maestria di un cronista pirandelliano, in bilico tra realtà e fantasia, racconta la storia degli uomini e delle donne di Piana di quasi un secolo fa. Con una lingua semplice e profonda costruisce una realtà fatta di paradossi e passioni dove si mettono a nudo le commedie e le tragedie delle relazioni umane: Hora e Arbëreshëvet, luogo cultural- mente unico nel Mediterraneo, che ha resistito sempre ai venti folli della storia, delle identità e delle lingue. Alla fine della lettura del romanzo quello che rimane di Hora è l’impressione di un quadro, come “un effimero dipinto ad olio che non sarebbe mai asciugato”. Ed è questa impressio- ne di “un effimero dipinto” che costituisce la vera forza di questo romanzo che è il coacervo di un intero universo umano e geografico, così piccolo e immenso.

Professor Gazmend Kapllani DePaul University – Chicago, Usa



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