Mario Calivà në Tiranë me tregimin - monodramën Nostalgia

Oggi, in Italia, quasi l’1% della popolazione si trova in isolamento a causa del covid-19. Ognuno sta solo sul cuor delle mura di una stanza, trafitto da un raggio di sole (che fa ingresso dalla finestra) ed è subito sera. Avrebbe, forse, scritto oggi Salvatore Quasimodo. Il tempo, in attesa del tampone definitivo che potrebbe significare libertà o prolungamento della propria detenzione, risulta dilatato. Ne è distorta la percezione. Sembra che non voglia passare.
Il 2021 sarà l’anno del settimo centenario della morte di Dante. Molti o troppi non l’hanno mai letto. Ma stanno sperimentando sulla pelle il suo purgatorio. Learning By doing, diceva Dewey. La prova da superare per entrare in Paradiso sarà il tampone. E lo Stazio, il poeta latino che accompagna Dante per una parte del viaggio in Purgatorio, sarà sostituito dallo smartphone. Strumento potente e in grado di metterci in contatto con chiunque. Un’attesa a volte scandita dall’angoscia che le proprie condizioni di salute possano peggiorare. E il pensiero va automaticamente agli ospedali, una sorta di inferno post moderno che, però, pullula di angeli col camice bianco pronti a salvare ogni vita umana.
"Non perdete ogni speranza o voi che entrate", verrebbe da dire ai medici e agli infermieri che lavorano giorno e notte, curando anche taluni negazionisti, che persino durante il ricovero rifiutano le cure, perché è tutta una farsa e il virus non esiste, per ritornare dopo dieci minuti sui propri passi e chiedere il casco per la respirazione assistita. E poi ci sono quelli che non ce la fanno. Quelli di cui rimane solo un sacchetto coi propri vestiti da consegnare ai propri cari, o da gettare nell’indifferenziato, qualora si sia soli al mondo. Chi muore di covid in ospedale, in ogni caso, lo fa da solo. Scenderà nel gorgo muto. Perché la morte ha avuto i suoi occhi che diventeranno una vana parola, un grido taciuto, un silenzio, come nei versi di Cesare Pavese.
Dalle finestre dell’ospedale si intravede il paradiso svanito. Quello che prima era considerato un campo di guerra. Ora rimpianto. La nostra cara amata/odiata vita quotidiana. Scivolata dalle nostre mani nude. Troppo deboli. Eppure un tempo avevano la pretesa di ritenersi forti. Chi è costretto ad uscire non può far a meno di notare le saracinesche di bar e ristoranti abbassate. Luoghi dove si era soliti andare per svago dopo una giornata di lavoro, per incontrare qualcuno che ci piace, per festeggiare lauree, matrimoni o diciottesimi.
Resta solo un ricordo e una speranza che tutto possa ritornare come prima. Per questo ci si appiglia alle notizie positive, al vaccino (tranne i no-vax), al fatto che i nostri sacrifici possano dare i frutti sperati e abbassare la curva del contagio.
E poi ci sono i più ottimisti che considerano la solitudine dell’isolamento, la loro Beatrice che li ricondurrà di nuovo per le vie del Paradiso ritrovato, ma questa volta pieno delle macerie di tutti i progetti andati in fumo a causa della crisi provocata da un virus che ha fatto tremare settori dell’economia che un tempo pensavamo fossero imperturbabili. Forse è il momento di fermarsi per davvero. Solo l’attimo che basta per far pace con la nostra eterna fragilità.,Oggi ricorre il triste anniversario della strage di Piazza Fontana avvenuta il 12 dicembre 1969 presso la Banca Nazionale dell’Agricoltura a Milano. In quell’occasione, a causa di un atto terroristico, persero la vita 17 persone e rimasero ferite altre 88.

La strage rappresenta uno dei primi attentati legati alla strategia della tensione che accompagnerà tutti gli Anni Settanta. Infatti, lo stesso 12 dicembre 1969, quasi in contemporanea, altri ordigni venivano fatti esplodere a Roma provocando 16 feriti.

Un’altra bomba, posta in via della Scala a Milano, per fortuna rimase inesplosa. Secondo il giudice Guido Salvini, che ha condotto l’istruttoria su Piazza Fontana dal 1989 al 1997, tutte le sentenze, anche se assolutorie, portano alla conclusione che la strage fu organizzata da Ordine Nuovo, formazione della destra estrema, affinché l’allora Presidente del Consiglio Mario Rumor firmasse lo stato di emergenza del paese, così da giustificare l’insorgenza di un regime autoritario. Infatti, l’anno seguente, precisamente il 7 dicembre 1970, fu prevista l’operazione Tora Tora, in sostanza un colpo di stato diretto da Junio Valerio Borghese, alias Principe Nero, che però venne fermato proprio all’ultimo minuto.

Alla vicenda di Piazza Fontana è legata la morte di Giuseppe Pinelli, un ferroviere anarchico milanese. Pinelli, la stessa sera della strage di Piazza Fontana, assieme ad altre 84 persone era stato prelevato dal circolo di via Scaldasole dagli agenti di polizia e condotto nell’ufficio della questura, dove nel corso di un interrogatorio durato 48 ore "vola" da una finestra del quarto piano.

La versione ufficiale, stando alle dichiarazioni del questore Marcello Guida, è il suicidio. Secondo Guida, Pinelli si sarebbe suicidato a causa del rimorso perché era il vero responsabile dell’attentato.

La maggior parte dell’opinione pubblica è sicura che il Pinelli sia stato defenestrato. In seguito l’alibi fornito da Pinelli si sarebbe rivelato veritiero, non a caso viene considerato la 17esima vittima di Piazza Fontana.,ARTICOLO DA INSERIRE,A Piana degli Albanesi, in via Giovanni Macaluso, nel cuore dello storico e silenzioso quartiere Rrokat, trova posto una costruzione, precisamente un arco, che unisce due isolati.

La datazione della sua edificazione risale, probabilmente, al XIX sec. Ogni giorno le ormai poche persone che abitano il quartiere vi passano sotto, in auto o a piedi, ignorando, forse, la leggenda popolare tutta arbëreshe secondo la quale se una coppia di sposini, subito dopo la loro unione in chiesa, lo attraversa, sulla chiave di volta dell’arco si aprirà una crepa dalla quale verrà giù una maestosa cascata di oro e di ogni tipo di pietra preziosa. Fino ad oggi non è giunta notizia di coppie ardite che hanno provato a sfidare la leggenda, anche perché se ciò avvenisse gli sposini rischierebbero la vita.

Il signor Vito H., nato e cresciuto in una casa vicino all’arco, da tempi immemori sente parlare di questa leggenda ma non ha mai conosciuto qualcuno che ha avuto il coraggio di appurare la veridicità di queste voci popolari. Pare che un giorno Vito avesse intravisto una coppia di sposini freschi freschi appena usciti dalla Cattedrale di San Demetrio giungere al quartiere Rrokat per scattare delle foto. Vito si avvicinò e dopo aver augurato loro lunga vita raccontò dell’incantesimo dell’arco, ma i neo coniugi preferirono non fronteggiare la leggenda, anche se, giustamente, erano leggermente tentati poiché quella cascata d’oro avrebbe sicuramente risolto diversi problemi, in primis quello del mutuo.
Alla domanda “lei ci ha mai provato?” Vito ha risposto: “No, perché non mi sono mai sposato”.

L’incantesimo, quindi, ancora non è stato rotto, in attesa.

Cercasi coppie coraggiose.,ARTICOLO DA INSERIRE,ARTICOLO DA INSERIRE,In questo spazio potrete trovare informazioni sulle mie attività.,Këtu do të gjeni informacione për aktivitetin tim artistik.,Distria Krasniqi, atleta originaria di Pejë ha vinto la medaglia d'oro di judo nella categoria fino a 48 kg. Distria ha sconfitto la giapponese Tonakii. Per il Kosovo è la seconda medaglia olimpica conquistata nella disciplina Judo, dopo quella di Majlinda Kelmendi. Un orgoglio per tutti gli arbëreshë e gli albanesi nel mondo.,Trent'anni fa giungeva a Bari la nave mercantile Vlora con a bordo 20 mila albanesi che fuggivano dalla loro terra a causa della povertà vissuta durante e alla fine del regime di Enver Hoxha. Un viaggio in cui gli albanesi avevano riposto tutte le loro speranze e i loro sogni. Dopo cinquecento anni avevano ripetuto lo stesso viaggio che fecero i loro fratelli arbëreshë. Dunque, la storia si ripeteva. Di questi trent'anni restano belle storie di integrazione e grande voglia di mettersi in gioco. Infatti, gli albanesi, hanno dato vita a migliaia di attività economiche e contribuito al benessere dell'Italia.,Lo scrittore arbëresh di Piana degli Albanesi è riusultato tra i finalisti del prestigioso premio nazionale Salva la tua lingua locale. Come riporta il sito degli organizzatori. Il Premio letterario Salva la tua lingua locale, del quale è presidente onorario il prof. Giovanni Solimine, succeduto al prof. Tullio De Mauro – è promosso e organizzato dall’Unione Nazionale Pro Loco d’Italia e dalla Lega delle Autonomie, con la collaborazione del Centro Internazionale Eugenio Montale e l’ong Eip – Scuola Strumento di Pace.Il Premio, aperto agli autori in lingua locale, articolato nelle sezioni della poesia edita e inedita e della prosa edita e inedita, cui si affiancano la sezione scuola e la sezione musica, è nato nel 2013 ed è giunto alla sua ottava edizione. La premiazione si svolge ogni anno nel mese di dicembre a Roma, in Campidoglio, presso la Sala della Protomoteca. Mentre per la parte dedicata alla scuola le premiazioni si svolgono nel periodo di febbraio, sempre in Campidoglio a Roma.,Il 16 ottobre del 1943 i nazisti, coadiuvati dalla polizia fascista, eseguirono il rastrellamento del quartiere ebraico di Roma. Quella mattina furono arrestati e deportati ad Auschwitz più di mille ebrei, dei quali fecero ritorno solo in 16. Ma per capire meglioi fatti, occorre procedere con ordine cronologico. Il 25 luglio 1943 Benito Mussolini viene deposto dal Gran consiglio del fascismo con stupore dei nazisti che si aspettavano una reazione dei fascisti. Il re incarica il maresciallo Badoglio di formare un nuovo governo, il quale firma l’armistizio con gli alleati e tenta di far uscire il Paese dalla guerra. Ma il suo primo atto è la fuga, assieme al re, a Brindisi. A questo punto per i nazisti l’Italia diventa nazione nemica il cui esercito è allo sbando e senza ordini. I tedeschi l’8 settembre espugnano Porta San Paolo, occupano Roma e firmano un accordo con quello che resta dell’esercito italiano per stabilire lo stato di Roma come “Città aperta” agli ordini del generale Calvi di Bergolo. Due settimane dopo quest’ultimo sarà arrestato al Viminale dai tedeschi tramite un’azione spettacolare i cui uomini impiegati, secondo lo stesso generale, erano sufficienti ad espugnare una fortezza. La Questura centrale venne lasciata intatta. Dipendeva direttamente dal ministero dell’Interno della Repubblica Sociale italiana e, dopo il 16 ottobre, operò per dare la caccia agli ebrei, specialmente dalla fine del gennaio 1944, quando nella capitale arrivò il questore Pietro Caruso in sostituzione di Roselli, ritenuto poco incisivo nella questione ebraica. A Roma i tedeschi istituirono l'Aussenkommando, una struttura militare creata nelle città occupate per metterle sotto sicurezza e combattere ogni sorta di Resistenza. L’Urbe venne usata come retrovia dell’esercito e si diede vita ad un comando militare di piazza agli ordini del generale Rainer Stahel dipendente, a sua volta, dal generale Albert Kesselring, comandante dell’Italia centromeridionale. Herbert Kappler, futuro boia di via Tasso, venne scelto come comandante della Gestapo di Roma. Il suo contributo fu decisivo per la liberazione di Mussolini a Campo Imperatore. A questo punto la situazione per gli ebrei precipita. Gli antefatti diretti agli arresti del 16 ottobre 1943 sono il ricatto dell’oro e il saccheggio degli uffici della Comunità Ebraica di Roma e del Collegio Rabbinico avvenuti il 13 ottobre del 1943. È Il maggiore Kappler a dare il via alla goldaktion. Alle 18:00 di domenica 26 settembre convoca Dante Almansi e Ugo Foà, rispettivamente i presidenti dell’Unione delle Comunità Israelitiche Italiane e della Comunità Israelitica di Roma e comunica loro che se entro quarantotto ore non avessero consegnato cinquanta chili d’oro i nazisti avrebbero deportato duecento capifamiglia. Il Maggiore aggiunse che nel caso di difficoltà pratiche avrebbe messo a disposizione i propri uomini e mezzi e che poteva andar anche bene l’equivalente in sterline e dollari, ma non lire perché di quelle ne poteva stampare a volontà. La sera stessa in Comunità cominciò la raccolta dell'oro. Qualcuno lo offrì in vendita. Di conseguenza si iniziò ad accettare anche del denaro in contante. Intorno alle undici di martedì 28 settembre si raggiunse l’obiettivo, e avanzarono due milioni di lire. Al capitano Schultz vennero consegnate dieci scatole di cartone contenenti il metallo prezioso. L’ufficiale nazista, dopo aver mosso alcuni dubbi sulla quantità (che eccedeva di 300 grammi il dovuto) non volle firmare nessuna ricevuta, probabilmente per non lasciar traccia di quel crimine. Negli ambienti ebraici alcuni credevano che i tedeschi avrebbero mantenuto la parola, perché pensavano che, nonostante tutto, fossero un popolo che manteneva la parola. Ma non fu così. I nazisti avevano già ben in mente cosa fare. Così, il 16 ottobre ebbe luogo il grande arresto. Le operazioni cominciarono alle 5:30 e finirono alle 14:00. Gli uomini partirono dalla caserma Macao per dividersi nelle 26 zone in cui era stata ripartita la capitale. Secondo Gabriele Rigano vengono arrestate 1.265 persone, 252 delle quali rilasciate perché prese per sbaglio, e successivamente portate al Collegio Militare, in via della Longara, a due passi dal Vaticano, dove furono ammassate nel cortile. Non c’era la possibilità nemmeno di usare le latrine. Due donne ebbero le doglie e partorirono. Un uomo morì d’infarto. Alcuni parenti giunsero per consegnare cibo e biglietti senza ottenere notizie dei loro cari. Dopo due giorni, il 18 ottobre, dalla Stazione Tiburtina partì un convoglio diretto ad Auschwitz con 1.022 ebrei di cui solo 16 (15 uomini e una donna, Settimia Spizzichino) fecero ritorno a casa.I nazisti come facevano ad avere gli indirizzi precisi? Hanno puntato direttamente il quartiere ebraico dove erano sicuri di trovare gli ebrei, bussando, addirittura, sulle loro porte.Bisogna sottolineare che degli arrestati soltanto il 43% risultava residente dentro il quartiere ebraico e che gli elenchi degli indirizzi degli ebrei furono forniti dalle questure e prefetture e non sottratti in Comunità come qualcuno pensava. Cosa che indusse molti a puntare il dito contro Ugo Foà, reo di non aver distrutto le liste degli indirizzi. Gli elenchi di cui si servirono i nazisti erano stati preparati fin dal 1938 quando con la Legge del 17 novembre il regime fascista rese obbligatoria per gli ebrei l’autodenuncia di appartenenza alla razza ebraica. I tedeschi non fecero altro che farsi consegnare quei documenti dalla polizia italiana. Inoltre, è stato ampiamente dimostrato che gli arrestati non provenissero unicamente dai ceti meno abbienti poiché quasi la metà delle famiglie coinvolte nella retata erano iscritte alle liste dei contribuenti. Infatti, furono arrestati anche personaggi del calibro dell’ammiraglio Capòn, suocero di Enrico Fermi che per evitare la cattura mostrò, inutilmente, ai tedeschi le lettere che gli aveva mandato Mussolini.
Considerando le cifre relative alle deportazioni avvenute in altri territori occupati e il numero di arrestati previsti (circa 6.000), si potrebbe affermare che la retata romana fu un insuccesso a fronte dei 13.000 - 13.500 ebrei che vivevano nella capitale. La minore portata delle persecuzioni in Italia fece compiere agli storici l’errore di escluderla dalla storia della Shoah, considerandola unicamente una vittima dell’aggressione nazista che durante il regime fascista imitò per filo e per segno la tendenza razzistica dell’alleato tedesco; L'ordine di preparare la deportazione fu ricevuto del 1943 il 25 settembre da Herbert Kappler direttamente da Heinrich Himmler, il Reichsführer delle SS. Il gerarca nazista in un primo momento cercò di evitarla o almeno di rinviarla, poiché riteneva che tutte le forze militari dovessero essere concentrate sul mantenimento del fronte e che una tale operazione avrebbe potuto inasprire ancor di più i rapporti tra i tedeschi e i romani correndo il rischio di dar vita ad un’insurrezione come quella di Napoli. Tuttavia la richiesta venne respinta. L’organizzazione della retata venne affidata a Theodor Dannecker, specializzato in questo tipo di operazioni. A Parigi predispose la retata del Vel d’Hiv tra il 16 e il 17 luglio 1942. Fece arrestare 13.000 ebrei e dopo averli rinchiusi nel Velodromo d’inverno, li fece deportare. Successivamente si spostò in Ungheria dove arrestò 430.000 ebrei. Il capitano delle SS giunse a Roma il 30 settembre del 1943 e in soli sedici giorni pianificò il tutto, ma ebbe cura, prima, di parlare con Wilhelm Harster, a capo dei servizi segreti nazisti in Italia, per assicurarsi la sua collaborazione.
Una delle tre unità che si occuparono dell’operazione era interamente formata da soldati riservisti, tutti tra i 34 e i 37 anni che fino al giorno della chiamata avevano svolto lavori normali come panettiere o giardiniere. Quindi, la più grande razzia degli ebrei sul territorio italiano non fu compiuta da esperti di politica antiebraica, né da forze addestrate alla persecuzione degli ebrei, ma da persone normali e ciò spiega anche perché molti, per fortuna, riuscirono a salvarsi. Un tentativo per fermare la retata venne fatto da Eitel Friedrich Moellhausen, il più alto rappresentante dell’Ambasciata tedesca a Roma, il quale mandò un telegramma a Berlino dove chiedeva il permesso di impiegare gli ebrei nei lavori forzati, com’era successo in Tunisia, piuttosto che liquidarli. Il suo linguaggio eccessivamente chiaro non fu molto gradito in Germania, poiché quelle informazioni potevano arrivare nelle mani del nemico e rappresentare una prova dei loro crimini. Timore non infondato poiché il telegramma di Moellhausen venne intercettato dai servizi di intelligence americani e inglesi grazie al lavoro di Fritz Kolbe, alias Georg Wood, che collegava la Wehrmacht col ministero degli Esteri tedesco. Moellhausen successivamente si recò, insieme a Kappler, a Frascati per incontrare Kesserling e proporgli di applicare anche a Roma la soluzione tunisina, ma senza successo. Considerate le condizioni del conflitto che lasciavano presagire l’imminente arrivo degli alleati, lo studioso Giancarlo Spizzichino non escludeva l’ipotesi che la presa di posizione di Moellahausen e di Kappler potesse essere un tentativo per esonerarsi dalla correità verso azioni per le quali i nazisti avrebbero dovuto dar conto ai vincitori una volta persa la guerra. La vicenda degli arresti del 16 ottobre 1943 non deve essere dimenticata. Affinché le nuove generazioni non commettano gli stessi errori delle precedenti. In questo caso la memoria deve servire da monito, per migliorare la nostra esistenza e creare un mondo migliore.,Il 2 novembre prossimo, alle ore 21:00 presso l'aula '400 dell'Università di Pavia, andrà in scena il monologo Una Margherita in mezzo alle Ginestre di Mario Calivà. Il testo teatrale è interpretato da Aurora Cimino. Le musiche dal vivo sono di Giuseppe Di Bella. La drammaturgia ripercorre gli ultimi momenti di vita di Margherita Clesceri, vittima della Strage di Portella, vissuti dal punto di vista di sua figlia Concetta. La scrittura rivela stadi d'animo intimi e collettivi, ma sopratutto descrive il dolore di un'intera comunità che è stata attaccata in maniera ignobile in un momento importante come quello del Primo Maggio. Quel giorno migliaia di lavoratori si trovavano a Portella della Ginestra per manifestare pacificamente per un diritto fondamentale come quello del lavoro e chiedere l'applicazione del Decreto Gullo del 1944 che finalmente stabiliva l'equa divisione del raccolto tra il contadino e il proprietario terriero. L'evento è patrocinato dall'Accademia d'arte drammatica Silvio d'Amico di Roma, da Università di Pavia, da RadioAut, da UDU, EDiSU Pavia e ACERSAT.,Kur kthehem
Drejt diellit të lindjes së parë
Mendimi im fluturon
Kaluar mbi një rreze drite
Vete matan detit
dhe përzihet me qiellin
E arrin deri tek Gjergji
Trimi i të gjithëve ne
Që na ndihmoi të mbajmë këtë gjuhë
Me të cilën flasim
E me të cilën
Dëgjova për të parën herë zërin e mëmës sime
E më të cilën do të them
Të fundit fjalë
Para se të lë këtë dhe.,Palermo, 27 gennaio 2022 - Questa mattina al Liceo Galileo Galilei, si è parlato di Shoah e Leggi razziali con Mario Calivà, autore del libro LE LEGGI RAZZIALI E L'OTTOBRE DEL 1943 edito da Besa. L'incontro è stato impreziosito dal racconto di Giorgio Ajò, testimone diretto delle persecuzioni naziste a Roma. Giorgio è stato uno dei pochi bambini ebrei a frequentare, sotto falso nome, le scuole della famigerata Repubblica Sociale Italiana. Dopo l'introduzione della preside Chiara Di Prima e della professoressa Maddalena Scannaliato, Calivà ha tracciato un quadro storico e parlato dell'importanza sociale della memoria. Tra i promotori dell'evento anche la Professoressa Elisa La Scala. Le letture sono state curate da Gabriele Gambino e Matteo Gioitta.,Da secoli, la mitologia greca ci offre chiavi di lettura indispensabili per interpretare la realtà e di sicuro non si è risparmiata neppure di questi tempi per accendere un lume e schiarire gli ingranaggi della contemporanea umanità immersa in una pandemia che da più di due anni miete vittime in ogni angolo della terra. Gli effetti più immediati sono stati quelli relativi a un profondo mutamento del nostro quotidiano assieme ai rapporti sociali messi duramente in discussione. Dopo un picco di contagi mai visto, in queste ultime settimane, grazie alle somministrazioni (quasi) di massa del vaccino, in fondo al tunnel una debole luce sembra smorzare l'oscurità. La prima cosa che viene in mente è la possibilità di un bramato ritorno alla normalità che consenta, finalmente, di gettare nell'oblio tutti quei discorsi che hanno prodotto fratture foriere di abissi in cui molti sono precipitati nell'intento di anteporre la propria individualità all'interesse collettivo. Nonostante tutto, proprio in questi giorni, una nuova guerra è scoppiata poco lontana dal nostro cortile di casa. I siti di informazione hanno spostato in fondo le notizie della pandemia per dare risalto allo scontro armato tra Russia e Ucraina, le cui conseguenze, secondo alcuni esperti di geopolitica, potrebbero portare alla Terza Guerra Mondiale. Purtroppo, quello tra Mosca e Kiev rappresenta solo uno delle decine di conflitti imperversanti nel mondo che corroborano l'idea secondo la quale le donne e gli uomini del globo sperimentino, continuamente, il Supplizio di Tantalo. Ovvero il patire derivante da quell'anelito di pace e serenità globale che mai potrà essere appagato. Secondo il mito, Tantalo, figlio di Zeus e Plutide, dopo aver rubato l'ambrosia alla tavola degli dei e offerto a quest'ultimi la carne del proprio figlio Pelope, venne gettato, per ordine di Zeus nel Tartaro e immerso in un laghetto legato ad un albero da frutta per patire eterna fame ed eterna sete. Infatti, quando Tantalo cercava di bere, il livello dell'acqua si abbassava, quando, invece, provava ad afferrare un frutto, i rami dell'albero si allontanavano.Oggi, a causa del potere anestetizzante di un mondo traboccante di interazioni social, fa sì che il supplizio di Tantalo sia subito solo da chi soffre realmente per le empietà di cui il mondo è teatro stabile, avendo la sensibilità di entrare in empatia per tentare di comprendere il dolore di chi vive effettivamente una determinata situazione negativa. Soggetti rari i primi. Soggetti comuni i secondi. Chi possiede una tale sensibilità, allorché si trova davanti all'esecuzione di un gesto umano, si illude sulla sussistenza della speranza che un autentico cambiamento, in meglio, sia ancora possibile. Tuttavia, se non si è abbastanza determinati, gli eventi avversi e ostili, sortiranno l'effetto di sopraffare la bontà delle azioni degne del bene di cui l'uomo è capace. In questo caso ogni aspettativa morale sarà destinata all'oblio e non vi sarà nemmeno più supplizio ma mera e nuda constatazione dell'irreversibilità della sofferenza. Ma anche il più esile e fragile atto generoso, rappresenta, pur sempre, una speranza che rende il supplizio, caso mai qualcuno lo provasse, meno greve.,Lo scrittore arbëresh Mario Calivà sarà la guida che introdurrà il giovane storico David Ognibene, alla scoperta della comunità arbëreshe di Piana degli Albanesi. Il caporedattore del progetto è l'autore Rai, Gianluca Miligi. La puntata andrà in onda sul canale Rai Storia a metà maggio 2022,Come avevamo accennato in un articolo precedente, https://filodirettomonreale.it/2022/04/02/piana-degli-albanesi-tornano-le-processioni-del-venerdi-santo-e-di-san-giorgio/ dopo due anni di stop a causa dell’emergenza covid, le celebrazioni religiose sono nuovamente aperte al pubblico. Dopo il comunicato della CEI, i fedeli potranno di nuovo partecipare alla Funzione di Pasqua. Anche le processioni dei santi torneranno a solcare il tessuto urbano per effondere le loro benedizioni.Nel novero delle ricorrenze principali degli arbëreshë di Piana vi è la Settimana Santa, ovvero Java e Madhe preannunciata, venerdì scorso, dal canto itinerante della resurrezione di Lazzaro, eseguito di anche casa in casa. Particolare importanza assume il rito del Giovedì Santo compiuto nella Cattedrale di San Demetrio. Qui il Vescovo, una volta tolti i ricchissimi paramenti, esegue in tutta umiltà la lavanda dei piedi a dodici papades dell’Eparchia di Piana degli Albanesi.La sera del Venerdì Santo, invece, si svolge la struggente processione del Cristo Morto, seguito dalla statua della Madonna in lutto. Molto suggestivi sono i canti della passione e morte di Cristo, detti Vajtimet, i lamenti.Il Sabato Santo è il momento del Christós Anésti: a mezzanotte clero e fedeli si posizionano davanti al portone della Cattedrale San Demetrio, dove il Celebrante chiede al papas che si trova all’interno della chiesa di aprirgli, intimando alle potenze del male di non ostacolare il suo passaggio. Una volta che le porte della chiesa si spalancano si intona, appunto, il Christós Anésti (Cristo è risorto) in greco e in albanese (Krishti u ngjall), e il Celebrante, assieme al corteo di fedeli, fa ingresso nella chiesa illuminata a gran festa. La Domenica di Pasqua è il giorno più importante: tutto ha inizio con la messa celebrata dal Vescovo in Cattedrale con la presenza di tutti i papades. Al termine della funzione il corteo delle donne arbëreshe vestite con gli abiti tradizionali della festa parte dalla chiesa di San Nicola per arrivare in piazza Vittorio Emanuele: qui verrà sorteggiato, tra le donne che vestono l'abito tradizionale, il brezi, ossia una cintura in argento formata da placche unite al centro da una borchia cesellata a mano, raffigurante i santi protettori di Piana degli Albanesi, San Giorgio e San Demetrio o la Vergine Maria. Purtroppo quest'anno a causa dell'emergenza covid si è deciso di non procedere né con il rito della lavanda dei piedi, né con la sfilata delle donne in abito tradizionale. Momenti molto importanti in cui si manifesta l'identità collettiva religiosa degli arbëreshë di Piana degli Albanesi.,La trasmissione TELEMACO condotta da David Ognibene, per la regia di Luca Mancini, andrà in onda mercoledì 11 maggio 2022 alle ore 21:10 sul canale del digitale terrestre 54, ovvero RAI CULTURA.,Ishte ajo, Luiza Gega, shqiptarja e parë në podium në Kampionatin Evropian të Atletikës. U prezantua si favoritja e madhe e vrapimit me pengesa 3000 dhe nata e lagësht në Mynih konfirmoi parashikimet. Edhe arbëreshët e italisë krenohen të kësaj fitoreje që i përket gjithë botës shqiptare,Hora, një shembull i vërtetë se si të ruash rrënjët, por me synimin për dialog dhe shkëmbim kulturor.Mario Calivà: Unë besoj se është një arsye e lidhur me dashurinë, për veten, për të kaluarën, për atë që je. Arbëreshët që arritën në Itali në fund të shekullit të 15-të donin të ruanin lidhjen me tokën e tyre të braktisur. Të flasësh gjuhën tënde dhe t'u mësosh fëmijëve të tu do të thotë dëshirë për të mos harruar, do të thotë të ndjehesh në shtëpi edhe nëse është larg saj. Sot disa prindër arbëresh kanë filluar të flasin me fëmijët e tyre në italisht. Sepse ata mendojnë se nuk ka vend për gjuhën tonë në të ardhmen e tyre. Por unë mendoj se është e gabuar. Përveç avantazheve neurologjike të fëmijës që flet dy gjuhë, sepse në komunitetet arbëreshe fëmija rritet në dygjuhësinë italo-arbëresh, në një nivel kulturor është një gjë e mrekullueshme, të flasim një gjuhë që është ruajtur për kaq shumë shekuj. Ata që nuk e kuptojnë atë janë të pandjeshëm dhe jo shumë të kujdesshëm,Nel cuore di Firenze, a due passi dalla Galleria degli Uffizi, un artista albanese, Xhovalin Delia, opera dentro un laboratorio/atelier sotto l'ombra dei grandi edifici secolari della Culla del Rinascimento. Xhovalin è in Italia da più di trent'anni. Ho avuto il piacere di incontrarlo e conversare con lui su temi come quello del rapporto dell'artista con l'arte e del loro ruolo nella società odierna. Durante la conversazione ho scoperto che Xhovalin ha scritto due romanzi, realizzato film animati, creato dei corto metraggi e video artistici. Dunque, stiamo parlando di un'artista che sa maneggiare diversi linguaggi. Probabilmente la letteratura permette a Xhovalin di varcare delle soglie che l'arte figurativa non gli permetterebbe nemmeno di scoprire. Seduti su due sgabelli, uno di fronte all'altro, come due vecchi amici, abbiamo cominciato a parlare dei rispettivi approcci con l'atto creativo.

Xhovalin, qual è il tuo rapporto con l'arte?

È come domandarsi che rapporto si ha con l'amore? La risposta immediata sarebbe la seguente: amo e basta. L'arte è come il sogno, come l'amore. È una follia. Non ti chiede il permesso di entrare. Viene quando vuole. Diversamente dal sogno e l'amore, che vengono e vanno via quando vogliono loro, L'arte è fedele. Se la ami ti ama se le dai ti dà, ma mai quando riceve. È fedele ma un po' spilorcia. Ti prende tanto, anzi tutto e ti dà poco.

E com'è quel poco?

Tanto per l'artista, i suoi seguaci e non solo.Quindi è un rapporto dare-ricevere?Sì, ed è sproporzionatissimo, sempre a suo favore pari a 1000 a 1. A volte anche quel miserabile '1' lo concede poco facilmente. A qualcuno anzi, a tanti artisti, quell'1 ha stroncato la vita.

E a te?

Io sono stato un po fortunato. La mia arte è stata più generosa. Ammetto che m'ha dato tanta sofferenza ma anche degli istanti gioiosi e talmente felici. È stata, e lo è. la mia amante piena di passione e stranamente anche fedele. Per cui ci amiamo follemente. L'arte non l'ho mai tradito. Salvo le scappatine sempre dentro la sua 'casa' con cinema, musica e letteratura. Anche con il cinema hai avuto una bellissima storia d'amore?Sì, abbiamo procreato dei bei figli, ovvero dei film d'animazione, corto metraggio e video art. Con la stessa passione è stata e lo è ancor oggi l'amore per la letteratura con quale, oltre riflessioni, analisi opinioni, saggi, ho fatto due bei figli maschi di nome romanzi. Ecco cos'è l'arte per me, una storia d'amore.

L’arte può essere sia egoismo che condivisione?

L'uomo, pur essendo figlio della natura, alla sua mamma interessa più come specie. Come individuo un po' di meno. Ma per fortuna l'arte, come l'amore, non è una cosa ragionevole o razionale. Quindi è la natura che dirige la follia dell'arte nell'uomo. Come fa col amore che, come la definirebbe Schopenhauer, non è altro che una somministrazione di droga che la natura stessa prepara per la sua prole per procreare e continuare la vita.È la stessa somministrazione che la natura pratica con l'arte, con la A maiuscola, finché non diventi mestiere, cioè razionalità che s'impara nelle scuole. Infatti la gente che dipinge è tanta ma gli artisti pochi pochissimi. Dunque, la risposta è la seguente: l'arte nasce come bisogno naturale e si condivide come tale. L'ego sarebbe un promotore del laboratorio interiore dell'artista ma è la natura che prepara la somministrazione del arte nella sua specie. Ecco perché l'arte è divina e l'artista un semi-dio.

C’è posto per l’arte in questa società?

Certamente che c'è posto. Se c'è posto per la religione! Dove c'è l'uomo c'è e ci sarà sempre l'arte...dio creò l'uomo secondo la sua immagine a sua somiglianza...No? Anzi la società ha tanto bisogno sia l'arte che la religione che l'amore...basta tornare nelle caverne e vedere i nostri antenati primitivi non laureati nelle accademie delle belle arti per capire la necessità dell'arte per l'uomo come creatura sociale.

Quando hai capito che la tua vita era destinata a legarsi indissolubilmente con l’arte?

Non credo che esista una data per le cose incoscienti e irrazionali e tanto meno la consapevolezza. Come se ti chiedessi, quanto ti sei reso conto che la tua vita è condizionata dall'esistenza dell'ossigeno?Con una differenza, però. La scienza è razionale, l'arte è follia. Come tale, l'arte, per me era una voglia, un desiderio senza sapere cos'era. Mi viene voglia di cantare e cantavo. Quando mi vengono degli immagini mi metto a dipingere. Quando ho qualcosa da dire mi metto a scrivere.La magia dell'arte e la necessità mi hanno spinto nella ricerca e sto ancora ricercandola.

Pensi di trovarla?

Non so, ma ho vissuto la vita e continuo a divertirmi alla ricerca di questo mistero di nome arte. Sarebbe questo il mio destino della mia vita di essere legato indissolubilmente con l'arte? Non saprei.

Qual è il premio più importante che hai vinto?

Sarebbe importante un premio, sia quello il più prestigioso del mondo? Può darsi ma non è stato e non lo è per me. La fortuna mi ha accarezzato. Ne ho avuto alcuni premi ma francamente mi interessano poco. Anzi non mi piacciono i premi. Sono una cosa stupida razionale umana. Secondo me ognuno merita un premio nel suo genere. Non può essere un premio per tutti. E poi chi può premiare l'arte?Normalmente lo fanno quelli che con l'arte non hanno a che fare. Anzi, spesso premiano quelli che non meritano. Tranne me.(sorride). Io sono una eccezione. Giusto per rispondere alla domanda. Sono stato fortunato di avere ricevuto dalla « Culla dell'Arte il primo premio Lorenzo il magnifico nella biennale internazionale dell'arte contemporanea di Firenze.

,Poezi nga Martin López-Vega

(El uso del radar en mar abierto. Poesía 1992-2019)

Përkthyer arbërisht nga Mario Calivà

———

Ndonjeri kish lënë

nerënxën sipër tryesës:

Kush e harron dhuratën ngë e meriton.

Çajta një thua e ngë jarrëra t'i shqirrja lëkurën.

Pema ish e terme, përfilljtë të josur,

Por lëvorja e thatë i mbaj bashkë.

Në u çahem abrënda,

Çila lëkurë ka më mbanj?

———

Alguien había abandonado

la naranja en una mesa:

quien olvida el don no lo merece.

Me rompí una uña sin poder rasgar su piel.

La fruta estaba seca, sus gajos sueltos,

pero la dura piel los mantenía unidos.

Si yo me rompo por dentro

¿qué piel me contendrá?

,Tre foto të Mariot Calivà do të jenë pjesë e një ekspozite të organizuar nga Instituti Italian i Kulturës në Lima në Peru. Tema e ekspozitës është Siçilia dhe aspektet e saj kulturore. Ekspozita do të inaugurohet të premten, 25 nëntor 2022, në orën 18:00, në Sala Sironi e institutit Italian të Kulturës në Lima.,Tre foto di Mario Calivà, faranno parte di una esposizione organizzata dall'Istituto Italiano di Cultura a Lima. Tema della mostra è la Sicilia e le sue sfaccettature culturali. L'esposizione verrà inaugurata venerdì 25 novembre 2022, alle ore 18:00 presso la Sala Sironi dell'Istituto Italiano di Cultura a Lima.,Teatri në gjuhën arbëreshe është thelbësor për të treguar se si gjuha jonë është ende e gjallë dhe e aftë për të mbështetur një shprehje komplekse siç është drama”, deklaroi Mario Calivà, autor dhe regjisor i shfaqjes së sipërpërmendur. Për qëllime skenike, vendosa të përdor të gjithë zonën e destinuar për publikun, për të demonstruar se si hapësira në tezga mund të bëhet një vend skenik. Në fakt, pothuajse në të gjitha skenat e aktit të dytë, aktorë të ndryshëm do të luajnë mes publiku dhe skena.
Ditët:
20 maj 21:00
21 maj 18:00
27 maj 21:00
28 maj 21:00
Teatri i Seminarit
Piana degli Albanesi - Hora e Arbëreshëvet,Prima di parlare di questo libro vorrei ringraziare l’Ambasciatore per aver accettato la nostra proposta di presentare questo volume in uno dei luoghi istituzionali, la cui attività è fondamentale per mantenere vivi i rapporti socio culturali tra Albania e Arbëreshë. Ringrazio anche gli altri illustri ospiti che interverranno oggi. Ognuno di loro sarà latore di un punto di vista importante e degno di attenzione. Queste memorie vanno preservate e custoditi, anche semplicemente tramite. L’atto di narrare ciò che ci succede è il nostro strumento per venire a patti con le sorprese e le stranezze della condizione umana. Una narrazione del passato che merita di essere ricordato implica una condivisone, contrariamente non sarebbe in grado di ispirare e orientare il singolo o la comunità verso una presa di coscienza e riflessione sul proprio vissuto, poiché il tempo, come diceva Paul Ricoeur, diviene umano nella misura in cui viene articolato in modo narrativo. La prima parte di questo volume contiene un sunto dei principali eventi storici che hanno coinvolto l’Albania dalla dichiarazione di indipendenza del 1912 fino all’arrivo dei profughi in Italia all’inizio degli anni Novanta. La trattazione storica risulta utile per contestualizzare le interviste, contenute nella seconda parte, e delimitare le coordinate necessarie per situare nel tempo i racconti di vita strutturati nelle stesse interviste che esibiscono le opinioni e l’habitus degli albanesi che hanno vissuto, in sequenza cronologica: i) l’ultimo decennio della dittatura di Hoxha, ii) le rivolte che raggiunsero il loro culmine con le proteste degli universitari, iii) la vicenda delle ambasciate e degli imbarchi.,TIRANË, 24 prill/ATSH/ Në mjediset e Europe House, Qendra e Studimeve dhe Publikimeve për Arbëreshët (QSPA), në bashkëpunim me Institutin Italian të Kulturës, organizoi një mbrëmje letrare me të ftuar special poetin, dramaturgun dhe fotografin arbëresh, Mario Calivà. Aktiviteti u çel me fjalën përshëndetëse të drejtoreshës së Qendrës së Studimeve dhe Publikimeve për Arbëreshët (QSPA), prof. Diana Kastrati, e cila theksoi rëndësinë e këtij aktiviteti si inciativë e rëndësishme e dy institucioneve. Ndryshe nga poezia e traditës që idealizon botën arbëreshe, poezia e Caliva-së e trajton universalitetin e aktualitetit arbëresh duke të shpënë drejt botës arbëreshe dhe pasuruar njëkohësisht edhe poezinë arbëreshe por edhe atë shqipe. Dr. Fabio Rocchi u ndal te kategoria e “romancës” arbëreshe mënyra e të shkruarit dhe narrativa e shkrimeve të autorit brenda universit arbëresh. Të shkruash do të thotë të ekzistojë një popull dhe një pjesë e historisë së arbëreshëve përkon me historinë e Shqipërisë, u shpreh poeti Mario Calivà. Sipas tij, të qenit shkrimtar të ofron një liri të madhe, pa ndjekur rregullat që kufizojnë filologun apo historianin, por kjo ndodh nëse qëllimi letrar është i qartë duke ruajtur një lloj koherence brenda fakteve historike. Në këtë aktivitet poetit Mario Calivà iu dha çmimi i tretë i fituar në konkursin “KrenArbëria” zhvilluar nga QSPA, me motivacionin: Për tregimin Mushku në të cilin ka arritur të japë prova të prekshme të qëndrueshmërisë së kulturës arbëreshe përmes përdorimit të arbërishtes, duke shpërfaqur edhe lidhje jetike me traditën letrare italiane.




Gli altri Librat

Iniziative